Psicologia della Paura: l’effetto freezing ci paralizza

I media mesi fa hanno riportato una infinità di notizie relative a violenze subite da donne, in carriera o meno: dopo il caso Weinstein, che ha fatto da cassa di risonanza per molti altri abusi, è scoppiato un dibattito a livello mondiale. Chi ha subìto, ha denunciato immediatamente? O lo ha fatto solo dopo? E, se non ha denunciato, perché lo fa solo ora, sfruttando la “notizia”? Alcune star che subito dopo il fenomeno #metoo hanno detto di essere state molestate dal produttore, hanno suscitato dubbi sulle loro reali motivazioni.

Ma non bisogna certo generalizzare. Le fazioni sono due, e sono ancora agguerrite: quella degli uomini che gridano allo scandalo, reputando ipocrita aprir bocca solo ad anni di distanza, e quella delle donne (dispiace molto scriverlo, ma è così) che si scagliano contro altre donne in nome di una coerenza solo ipotizzata: “se ha subito violenza, perché denuncia solo adesso?”.

C’è, come sempre, chi approfitta dell’effetto-notizia per farsi pubblicità, ma non dimentichiamoci che molte altre persone che sono state vittime dell’altrui prepotenza stanno tentando di fare il possibile per archiviare episodi traumatici.

La paura paralizza

Non tutti lo sanno, ma la paura paralizza, ed è stato dimostrato in modo scientifico da parecchio tempo.  Infatti, quando viviamo situazioni che ci causano un forte stress emotivo, come un’aggressione, una violenza, nel nostro sistema cerebrale entrano in circolo delle sostanze chimiche che hanno lo scopo di attutire queste sensazioni e causare ciò che in psicologia si chiama “freezing”.

Si tratta di ormoni, più precisamente di endorfine, le stesse che l’encefalo rilascia quando siamo felici o innamorati, che ci vengono in aiuto nei momenti più drammatici per cercare di farci provare meno dolore: è una difesa primordiale. Se mettiamo un cerotto, la ferita smette di sanguinare. Se prendiamo un ansiolitico, il panico diminuisce. Allo stesso modo, la paura scatena questa reazione chimica che è del tutto involontaria.

Anche molti animali cadono sotto l’effetto di questa sorta di narcotico naturale, e lo fanno spesso a spese della loro stessa vita: provando paura, immobilizzandosi, cadendo a terra svenuti, a volte scampano alla morte, ma in altri casi il predatore si approfitta meglio di loro, perchè sono immobili: li può divorare.

Oltre al danno, la colpa

Come si può sentire un essere umano, sia egli donna, uomo, ragazzo, bambino, anziano, che viene abusato fisicamente o psicologicamente e che ha subito questa paralisi? Nella maggior parte dei casi si sente inesorabilmente in colpa. Perché non ha reagito, nonostante la paura provata. Perché non è stato tanto forte da riuscire a scappare, a malmenare, a sottrarsi al suo carnefice. Quindi si macera, convincendosi di esserselo meritato, di avere, forse, provocato l’aggressione, e solo l’idea di parlarne lo fa sentire uno sporco colpevole, per di più codardo, un vile.

Foto: Ji Hyun Kwon – Credits: artspecialday.com

Anzi, spesso non ne può parlare con nessuno perché, se lo facesse, sarebbe giudicato male, oppure le possibili ritorsioni del suo carnefice lo terrorizzano. O, in alcuni casi, chi lo ama (ad esempio un genitore) può reagire violentemente verso l’aggressore, mettendo a repentaglio la propria fedina penale o addirittura la propria vita. Ecco quindi che spesso, in individui che sono stati abusati, emerge un senso di inadeguatezza, di non meritare la comprensione altrui, perché “non è stato in grado di reagire di fronte alla paura e all’aggressione”.

Il peso del giudizio

Ecco perché ci sono dei casi in cui la vittima non denuncia il carnefice: si vergogna della sua debolezza. Si sente in colpa per avere ceduto, perché nel momento in cui ha subito violenza il suo corpo era presente, ma – per fortuna, aggiungiamo,la mente era riuscita a dissociarsi, salvaguardando il suo apparato psichico che, se fosse restato vigile per tutta la durata dell’atto, non avrebbe superato il trauma, avrebbe forse ucciso, ma molto più probabilmente non avrebbe retto al dolore, con conseguenze devastanti per la sua psiche.

Al di là di chi sfrutta il sensazionalismo, di chi finge di avere sofferto ma ha invece agito per interesse, ascoltiamo, in silenzio, e piuttosto taciamo. Sembra che tutti abbiamo qualcosa da dire, soprattutto oggi quando basta un tweet, un post su Facebook, per renderci degli esperti nel “come si deve vivere”.

Questa è l’unica vita che possiamo vivere; nessuno ci ha fornito un manuale d’istruzioni. Per tutte le donne e gli uomini, per tutti i bambini e le bambine, per tutti gli anziani ed i disabili che non sanno e non hanno potuto reagire, non giudichiamo. E cerchiamo, piuttosto, di trovare dentro di noi alcuni dei doni più belli che gli esseri umani hanno ricevuto: quello della Compassione.

 

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Sono Psicologa e giornalista.
Direttore editoriale di "Le Cronache della Bellezza", amo informare.
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