Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione, identificato con la sigla ADHD, ha una solida origine biologica, in cui la genetica ha un’ampia parte, ed ora ci sono le prove scientifiche a dimostrarlo.
Lo rivela uno studio condotto da oltre 80 ricercatori e scienziati con la collaborazione di tre grandi consorzi internazionali di ricerca (Psychiatric Genomics Consortium; Early Genetics and Lifecourse Epidemiology (EAGLE) e Roadmap Epigenomics Mapping Consortium) – e pubblicato sulla rivista scientifica Nature Genetics, dove sono descritti i dettagli.
Uno degi autori della ricerca, il Professore Bru Cormand, ha dichiarato: “Questo studio conferma, contro quanti si ostinano a negarlo, l’idea che l’ADHD è un disturbo con una solida base biologica, in cui la genetica ha un’ampia parte.”
Dodici sequenze di DNA, molte delle quali corrispondono a dei geni specifici, sono infatti associate in modo importante al rischio di sviluppare il disturbo da deficit di attenzione e iperattività.
In cosa consiste dunque la base genetica?
Tre Geni
All’origine dei disturbi ci sono tre geni:
FOXP2: quando è mutato, è in grado di causare un danno notevole alle capacità linguistiche umane
DUSP6: è un gene implicato nella comunicazione tra i neuroni dopaminergici, e la dopamina è il bersaglio delle terapie farmacologiche somministrate a chi soffre di disturbo dell’attenzione.
SEMA6D: è un gene che potrebbe essere alla base dello sviluppo delle connessioni tra neuroni durante la fase embrionale.
Cosa é il Disturbo da Deficit dell’Attenzione
L’ADHD è uno dei disturbi psichiatrici più diffusi sia nei bambini che negli adolescenti.
Bambini e ragazzi che soffrono di questa patologia, non riescono a mantenere l’attenzione, sono particolarmente impulsivi e solitamente non riescono a stare fermi, sono cioè iperattivi.
Ne sono colpiti circa il 5% dei bambini e non in tutti la patologia scompare in età adulta: nel 3% dei casi infatti il disturbo si protrae, causando forte disagio personale e sociale.
Dal punto di vista emotivo, questi bambini hanno spesso degli eccessi d’ira, sono tendenzialmente prepotenti e di conseguenza vengono rifiutati da compagni di scuola e di gioco.
Dal rifiuto spesso deriva la loro scarsa autostima, come in un cerchio che si autoalimenta: ecco perché è importante identificare il più presto possibile la presenza della patologia portando il proprio figlio dal neuropsichiatra.
Il Trattamento
Il bambino cui è stato diagnosticato il disturbo può assolutamente essere aiutato, utilizzando diversi strumenti: interventi psicoeducativi (soprattutto di tipo comportamentale), cognitivi (aiutare il bambino ad apprendere delle strategie di autocontrollo in modo da poter supervisionare i propri pensieri ed azioni), mentre la cura farmacologica, fino ad oggi caratterizzata dalla somministrazione del Ritalin, (Metilfenidato), deve essere prescritta con molta cautela.
Non sono infatti ancora conosciuti tutti gli effetti collaterali del farmaco; inoltre il Ritalin causa assuefazione, il suo effetto dura solo poche ore, col risultato di non insegnare al bambino e quindi ai genitori quali strategie adottare per migliorare il proprio comportamento.
Molto importante è il coinvolgimento dei genitori e degli insegnanti, che ricevono soprattutto istruzioni su come modificare il modo di comunicare con il bambino in modo da non colpevolizzarlo, non punendo i comportamenti sbagliati (meglio ignorarli) bensì premiando quelli corretti subito dopo che si sono verificati.
Nota
Sicuramente non è questa la sede più adatta per affrontare in modo scientifico ed esaustivo la patologia e le strategie da adottare per curarla; in questo articolo desidero solamente fornire qualche informazione generale sul disturbo, consigliando alle famiglie di portare il proprio figlio, se ritengono possa avere il disturbo, dal proprio pediatra e successivamente dal neuropsichiatra.
FONTE DELLA RICERCA:
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