Quella del 13 Maggio 1978 è una data importante per la malattia mentale.
Infatti in quella data venne promulgata la Legge Basaglia, che chiuse i manicomi e mise fine alle sofferenze e alle discriminazioni violente dei pazienti psichiatrici, che venivano rinchiusi senza speranza di cura o di guarigione.
Ma andiamo con ordine e vediamo cosa accadde a partire dal protagonista di questa storia, Franco Basaglia.
Le parole di Basaglia
E’ il Novembre del 1961 quando il neurologo e psichiatra veneziano Franco Basaglia, dopo 13 anni di lavoro all’Università di Padova, vince il concorso a direttore del manicomio di Gorizia.
All’interno della struttura, alloggiavano in stato di prigionìa ben 650 malati, condannati all’ergastolo dell’infermità mentale: letti di contenzione, elettroshock, camicie di forza. Una vera e propria condanna, inflitta nella convinzione sbagliata che i malati di mente non potessero guarire o migliorare, ma che andassero solo “tenuti a bada”, ghettizzati.
E’ da qui che Basaglia, affiancato dalla moglie, Franca Ongaro, comincia una riflessione fondamentale sulla cura e sulla gestione della malattia mentale che lo porterà a rivoluzionare il mondo della psichiatria.
“Il malato quando entra in ospedale è un uomo. Qualche tempo dopo diventa una cosa. Una cosa così mortificata e violentata dall’ospedale, dalle istituzioni, dalle regole delle istituzioni”
“Penso che la malattia mentale abbia la sua dignità di esistenza, così come tutte le malattie. Il fatto è che i malati mentali non hanno dignità di esistenza. Se i malati in questi ospedali sono malati, sono ridotti a prigionieri e scontano una vera condanna. Il malato quando entra in ospedale è un uomo. Qualche tempo dopo diventa una cosa. Una cosa così mortificata e violentata dall’ospedale, dalle istituzioni, dalle regole delle istituzioni”.
Basaglia – così come riporta un servizio televisivo della Rai – vuole demolire il sistema manicomiale, che è stato regolamentato con la normativa del 1904: la legge infatti non concepisce il malato mentale come una persona da curare, ed il manicomio è visto come uno strumento per mantenere l’ordine pubblico, e per segregare i soggetti che ritiene pericolosi in modo da tutelare la moralità.
Malgrado le resistenze del mondo politico ed accademico, Gorizia diventa la fucina di un esperimento rivoluzionario: Basaglia, affiancato da un gruppo di psichiatri, intellettuali ed infermieri, applica per la prima volta in un ospedale italiano il metodo più innnovativo che la scienza psichiatrica proponga: quello della comunità terapeutica. Il tradizionale rapporto gerarchico tra medico e paziente viene scardinato e sono abolite le pratiche sanitarie più violente, sono organizzate delle assemblee tra medici e pazienti, gite, promossi laboratori, incontri con i parenti.
Quella di Basaglia è una critica radicale che a Trieste, quando egli nel 1971 va a dirigere l’ospedale psichiatrico, diventa una condanna senza appello. Infatti lo psichiatra ora non si propone solamente di introdurre elementi di vita comunitaria che aveva già sperimentato con successo a Gorizia, ma vuole arrivare alla chiusura del manicomio. Vuole obbligare la società ad assumersi la responsabilità del malato mentale, una società che deve accoglierlo e non ghettizzarlo.
Per questo Basaglia organizza non solo delle conferenze stampa, ma promuove anche degli incontri, degli spettacoli, degli happening.
Dice Basaglia alla stampa:
“Noi non siamo mai stati anti psichiatri. Siamo stati degli operatori che hanno agito sul campo reale delle istituzioni, per dare al cittadino che soffre una risposta alternativa alla violenza e alla repressione del manicomio”.
Nel 1977 Basaglia annuncia che l’ospedale psichiatrico sarà chiuso entro l’anno. La cosa non avviene subito, ma a partire dal 1980 la struttura inizierà a non accettare più pazienti.
Il suo è stato un passo decisivo: quello del varo di una legge grazie alla quale tutti i manicomi d’Italia saranno aboliti per sempre.
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