Purtroppo dobbiamo accettare il fatto che chi uccide lo può fare razionalmente, e questo perché il male esiste.
Festival della Criminologia, Genova, Palazzo Ducale: è durante uno di questi incontri, quello di ieri sera, che è stato raccontato il caso del serial killer più famoso d’Italia: Donato Bilancia.
Si è parlato del suo caso proprio a Genova, nella città in cui ha vissuto per tanti anni senza destare alcuno sospetto. A toccare particolarmente , fra le altre, è stata la testimonianza dell’attuale assessore regionale e giornalista Ilaria Cavo:”Io ho avuto la possibilità ma anche il dramma di incontrare il male quando ero ancora una ragazza, una ventenne, ed incontrare una persona come Donato Bilancia, che ti lascia disarmata di fronte al suo modo di essere, così banale e così balordo, non l’ho mai trovata negli altri casi che ho seguito. E purtroppo era un male che si è insinuato senza destare sospetti nella nostra società.”
Queste le prime parole della Cavo. giornalista televisiva prima di Porta a Porta, poi di Quarto Grado, che ha avuto modo di raccontare il suo personalissimo incontro e “rapporto” con il serial killer .
La giornalsita racconta di essere stata contattata per la prima volta dal killer con una lettera, nell’emittente televisiva genovese Primocanale, nella quale lavorava. Lui le chiedeva di incontrarlo in carcere, cosa che subito non è avvenuta per ovvi motivi di sicurezza e di opportunità, ma che poi, a distanza di tre anni, si è realizzata: la cronista si è recata nel carcere di Padova, ma per poterlo incontrare non si è potuta presentare in veste di giornalista, bensì di semplice “conoscente” del killer. Una condizione che l’ha esposta maggiormente alle eventuali reazioni dell’omicida, e della quale ha comunque deciso di assumersi la piena responsabilità, anche se la sua paura è stata da lei descritta con dovizia di particolari:
“Ero da sola col serial killer davanti, senza nessuno nella stanza, e con un solo agente che percorreva il lunghissimo corridoio che si dipanava lungo le celle. Avevo paura ma dovetti dissimulare e lui mi accolse con una scatola di cioccolatini, i Ferrero Rocher, che poi ho subito gettato nella spazzatura una volta uscita dal carcere. Era chiaro che, quello, era un modo di rompere il ghiaccio (una modalità tipicamente manipolatoria, n.d.r.) e di cercare di farsi passare per infermo di mente.”
La Cavo prosegue il suo racconto dicendo di avere sempre rifiutato di appoggiare la linea dell’infermità mentale e di averlo chiarito da subito al killer, causando una reazione violenta, ed ottenendo la sua prima reazione di rabbia estrema: “Ma cosa ti aspettavi, di trovarti davanti un mostro con le corna? Cosa devo fare per convincerti?” le urlò.
Bilancia ha raccontato tutti i suoi delitti alla cronista, quasi con compiacimento, mimando anche alcune scene violente, e solo una volta è scoppiato in lacrime, mentre arlava del delitto di Mariangela Rubino, ma successivamente ha avuto anche la lucidità di dirle con chiarezza: “Non sono pronto a uscire di prigione: se lo facessi, ucciderei di nuovo”.
Durante gli incontri privati, quindi, Bilancia si è comportato in un modo completamente diverso da come si è mostrato, invece, una volta che la giornalista realizzò l’intervista per la trasmissione Porta a Porta della Rai nel 2003: come ricorda lei stesssa: “appena schiacciai il tasto play del registratore, Bilancia si trasforma e, da grande narcisista quale è, dice euforico: “Vai, GO!” Un lampante esempio del suo desiderio di essere protagonista, la star del momento, in tv davanti a milioni di spettatori.
La perizia Psichiatrica
Ha scritto tra le altre cose l’eminente psichiatra Romolo Rossi, dopo avere periziato il killer:
“Lo abbiamo giudicato capace di intendere e volere, per cui non ci siamo potuti esprimere sulla sua pericolosità sociale, perché un giudizio di quel tipo è rigorosamente subordinato all’infermità mentale. Soltanto una persona malata, incapace di intendere e volere, può essere giudicata pericolosa. In astratto, questo non significa che un assassino giiudicato sano di mente non possa reiterare il reato; semplicemente significa che bisogna accettare che nella realtà umana esistano persone primariamente, inderivabilmente pericolose e distruttive, senza che considerazioni psicologiche a qualsiasi livello di profondità, né psicoeducative né economiche o sociologiche possano fornire spiegazioni convincenti. Dipenderà poi dagli eventi se questa aggressività diventerà concreta.”
Il Pubblico Ministero Enrico Zucca ha tracciato un quadro del killer seriale più famoso d’Italia e soprattutto indicando le modalità che hanno permesso di interagire con lui da parte degli investigatori:
“La non ostilità e l’apertura è lo stimolo alla narrazione. Questo funziona con le persone che non hanno disturbi di personalità, perché chi ne è portatore, come lo stesso Bilancia, non ha la capacità di percepire l’atteggiamento dell’inquirente che lo sta intervistando. Assecondando i tratti di personalità che fanno leva sul narcisismo, sull’egoismo e sulla grandiosità della persona, allora l’imputato accetta di parlare, ma solo a patto di condurre il gioco, “Voi dipendete da me e dalla mia grandiosità” è quello che pensa il killer.
L’incontro su Donato Bilancia si conclude con l’ammissione della Cavo della paura che ancora oggi l’accompagna; la paura che un giorno il serial killer venga fatto uscire di prigione e l’auspicio che questo ovviamente non avvenga mai:
“In quel caso credo che mi verrebbe a cercare” dice sommessamente.
FESTIVAL DELLA CRIMINOLOGIA GENOVA