Campagna pubblicitaria Fieg per la promozione della lettura di giornali e riviste
Newspapers and magazines are in crisis. Mondadori invests € 15.6 million on its magazines most followed, despite the success of web magazines.
Oggi vi parlo di web e cartaceo, oggi più che mai l’antinomia per eccellenza.
Lo sappiamo, siamo nel pieno dell’Era Digitale, i libri si leggono sul Kindler, oppure direttamente on line dallo schermo del computer, le notizie viaggiano su twitter, su facebook e le testate giornalistiche si sono adeguate aprendo i siti relativi che portano i nomi di La Repubblica.it, Il Corriere.it, e via dicendo.
L’informazione, quella che un tempo si leggeva sui quotidiani, si ascoltava per radio o si vedeva in tv, ormai è veicolata dal web.
E questo, mentre da una parte è positivo perché permette di aggiornare in tempo reale con news appena uscite , dall’altra è negativo perché l’approfondimento va a discapito dell’ informazione mordi-e-fuggi.
Lo spiegare, il capire, il “fare inchiesta” spesso sono sacrificati sull’altare telematico; manca persino il tempo di “mentalizzare“, come si dice in psicoanalisi. “Too much information” cantavano i Police alla fine del 1981 ed erano tempi ancora non sospetti. Eppure chi ha fatto informazione e continua – o vorrebbe continuare, è meglio dire – a farlo deve cambiare radicalmente il suo modo di concepirla ed il modus operandi. Non è più il tempo della macchina da scrivere e delle fumose riunioni di redazione alle undici di sera, non è più il tempo degli Indro Montanelli, degli Enzo Biagi, dei grandi giornalisti dalla penna fine.
Lo stesso caporedattore di una agenzia Ansa mi ha confessato: “ormai bisogna specializzarsi nelle nuove tecnologie, nelle riprese, anche fatte con il telefonino, e nei montaggi per fare sempre più in fretta e viaggiare sul web”.
Non nascondo che mi dispiaccia; cresciuta a leggere libri imprestati polverosi e ammuffiti da bambina, una volta cresciuta comprati e svezzata con riviste come Grazia, di cui sono stata fedele abbonata per anni, o come il mitico Moda, edizioni Rai Eri, la mancanza dell’oggetto che si fa feticcio è enorme, lascia un senso di vuoto palpabile. Quelle pagine prima annusate, poi sottolineate, infine conservate, a che fine sono destinate? Io stessa ho vissuto in prima persona la gioia e poi la delusione di dirigere una testata mensile: non erano più tempi per il cartaceo e la rivista ha dovuto chiudere, malgrado l’entusiasmo dei tanti giovani collaboratori e collaboratrici che credevano, come me e come l’editore, nel progetto.
Forse anche per questo ho provato un guizzo di gioia nell’apprendere dell’operazione che Mondadori sta conducendo con tre delle sue riviste femminili più seguite, Grazia, Donna Moderna e TuStyle, con un investimento (strana parola da sentirsi, oggi, nel regno della crisi economica globale) di 15, 6 milioni di euro. La notizia è di lunedì ed è stato lo stesso amministratore delegato del gruppo Mondadori, Ernesto Mauri, a spiegare il rilancio in grande stile dei tre periodici che ogni settimana raggiungono più di 3 milioni e mezzo di lettrici.
Come riporta “La Stampa”, “Epoca digitale o no, la forza di un editore sta nei propri marchi. Una logica plurimediale – ha spiegato Mauri – che abbraccia carta e digitale, costituendo un sistema integrato basato sulla centralità e la forza del brand”. Le neodirettrici chiamate alla sfida sono Silvia Grilli per Grazia, Annalisa Monfreda per Donna Moderna e Marina Bigi per TuStyle. Grazia aumenta il formato, dà più spazio alle notizie e alle inchieste e pone l’accento sui servizi fotografici di moda e celebrities; Donna Moderna manterrà il suo stile di servizio ma fornirà in versione digitale tutorial e altri contenuti. TuStyle, ultima nata, punterà soprattutto a fornire idee per acquisti a basso prezzo.
Non posso che fare il tifo per questa operazione come per molte altre “realtà di carta” che, nonostante tutto, continuano a resistere, ben sapendo le difficoltà nelle quali navigano.
Quindi pur se dal web, concedetemi l’antinomia, il mio augurio è davvero sentito.